La storia di Darioun Sotto un cielo alieno Mi capita ogni volta che guardo il cielo. Vedo le stelle, lontane, irraggiungibili e penso che forse alla luce di quegli astri lontani si scalda la mia casa, dove sono nato; o forse il mondo che mia ha dato i natali non si trova neanche in questo universo e mi trovo tanto lontano da non poter concepire la distanza. Quando ero ragazzo avevo imparato da mio padre a orientarmi attraverso le stelle e ora non riconosco la più piccola tra le costellazioni, mi capita spesso di pensarci e quando succede sento la malinconia che mi divora. Per questo non riuscirò mai a dimenticare come è iniziato tutto questo, il giorno in cui la mia vita avrebbe dovuto finire, il giorno in cui ho iniziato una nuova vita in un nuovo mondo. Era una giornata calda anche per i canoni di Phartia, il poco vento che spirava portava verso di noi il clima del deserto e dentro l’armatura nera del capitano della guardia reale sembrava l’inferno in terra, dietro di me potevo sentire gli uomini mugugnare e i cavalli sbuffare impazienti sotto il peso di uomini e armature. Quel giorno ero stato posto al comando dell’ala destra dell’esercito e la cosa non mi rendeva per niente tranquillo, avrei voluto essere al fianco del Principe Arslan per poterlo difendere nel cuore della battaglia, il principe era un abile spadaccino ma non aveva l’animo del guerriero e il mio timore era che il suo primo scontro potesse rivelarsi fatale. Forse non avrei dovuto preoccuparmi tanto, in effetti il Principe si trovava con il gruppo principale dell’esercito e avrebbe dovuto essere ben protetto ma per qualche ragione avevo addosso una strana inquietudine, come una terribile premonizione. Il fianco sinistro delle nostre forze era coperto dal Primo Ministro Garland e dalla sua guardia personale; secondo il piano io e Garland avremmo dovuto guidare i fianchi dell’esercito in una manovra aggirante intorno al canyon, che costituiva l’unico accesso visibile alla valle di Phartia, mentre le falangi avrebbero retto l’impatto della cavalleria Lusitana permettendoci di completare la manovra attraverso gli stretti cunicoli segreti che portavano al deserto. Il Primo Ministro mi salutò sogghignando, ricambiai il saluto senza entusiasmo; non avevo mai approvato la scelta di Sua Maestà di affidare potere a quell’uomo, ben conoscendo la sua avidità e le sue ambizioni, ma i suoi agganci diplomatici e la sua influenza economica erano argomenti difficili da combattere. L’attesa iniziava a pesare sugli uomini quando all’orizzonte comparve la nube di sabbia provocata dall’avvicinarsi della cavalleria Lusitana. “Finalmente” pensai “Ogni battaglia ha un suo ritmo e chi se ne impadronirà inevitabilmente ne uscirà vincitore”. Salutai il Principe e guidai le mie truppe negli stretti passaggi che ci avrebbero portati all’esterno della valle e alle spalle del nemico; a causa delle anguste dimensioni dovevamo procedere a passo ridotto e con estrema attenzione per non rischiare di azzoppare i cavalli sulle asperità del terreno, inoltre fui costretto a far procedere la squadra in file di tre, era stato quindi opportuno muoversi con largo anticipo per non rischiare di arrivare in ritardo all’appuntamento con il nemico. Come ho già detto il percorso all’interno degli stretti passaggi tra le rocce era impervio ma se non altro concedeva un momento di tregua dal sole battente del deserto che incombeva su di noi implacabile; ora che la battaglia si faceva sempre più vicina, comunque, quasi non sentivamo più l’afa e l’ansia che solo pochi momenti prima ci avevano tanto oppresso, il nostro unico pensiero era volto allo scontro che sarebbe iniziato a breve, nessuno parlava e solo i cavalli si concedevano qualche sbuffo o scrollata di coda. Avevamo da poco passato la metà del tragitto quando, nuovamente, oscuri presentimenti tornarono ad affollare la mia mente; sentivo che qualcosa non andava ma la pressante vicinanza della battaglia mi imponeva di tenere la mente libera perché di lì a breve avrei dovuto gettarmi nella mischia e guidare i miei verso la gloria, o la morte. Allontanai quei foschi pensieri additandoli come preoccupazione eccessiva prima della lotta, forse dovuta al claustrofobico ambiente nel quale mi trovavo, ai giochi di ombre che il sole a picco su di noi creava riflettendo le ombre dei frastagliati costoni di roccia calcarea; si, decisi, doveva essere proprio quello. Stavo per gettarmi definitivamente alle spalle ogni timore quando di nuovo qualcosa mi allertò, poteva essere solo un’altra paranoica impressione eppure avrei potuto giurare di aver visto un movimento tra gli infidi costoni sopra di noi, poi alle mie spalle un nuovo rumore, una piccolo frana di ghiaia e polvere cadeva dall’alto. Quando capii cosa stava per succedere alzai lo scudo sopra la mia testa gridando ai miei uomini di mettersi al riparo, solo un sospiro più tardi la punta di una freccia era conficcata profondamente nell’intelaiatura di legno dello scudo, a poi centimetri dal mio volto. Un’imboscata! E il mio avvertimento era giunto troppo tardi, solo pochi di quelli che mi seguivano avevano fatto in tempo a ripararsi, i più erano stati quanto meno feriti dalla prima salva di dardi. Pochi metri sopra di noi incombevano gli assaltatori, avvolti in uniformi lusitane, che già stavano incoccando le frecce per rinnovare l’attacco. Come avevano scoperto quel passaggio? Nessuno al di fuori della valle ne era a conoscenza, il barlume della scoperta si fece strada attraverso me non appena ricordai il sorriso beffardo che mi aveva rivolto Garland. Quale sciocco ero stato, pensare che ci potessero essere dei limiti a ciò che quell’uomo avrebbe fatto per soddisfare le proprie ambizioni! Traditi, eravamo stati traditi.Lo sconforto fece presto largo al furore per tale infamia, spronai il mio destriero, Vento Nero, al galoppo per tornare indietro, gridando ai pochi superstiti di seguirmi. Gli spigoli di roccia sfrecciavano veloci al mio passaggio, tanto vicini da potermi tagliare talvolta ma io neanche li vedevo, sapevo solo che il Principe doveva essere in grave pericolo e con lui la sopravvivenza stessa del regno.Quando giunsi sul crinale che dava sul campo di battaglia mi resi subito conto della gravità della situazione: il grosso dell’esercito Lusitano si era infranto sulle nostre difese ma l’ala sinistra del nostro esercito aveva presto cambiato fronte attaccando le nostre truppe alle spalle, la situazione era tanto disperata che non potei fare a meno di rifiutarla, il mio solo pensiero era quello di raggiungere Arslan, che chiamavo amico oltre che Maestà. Presto si posero innanzi a me per fronteggiarmi diversi gruppi di nemici e traditori, cercai di sfondare le loro linee guidando gli uomini che mi erano rimasti in una formazione a cuneo fin dentro le schiere avversarie ma i nemici erano troppo numerosi e dopo pochi istanti fummo circondati e la battaglia degenerò in una mischia furibonda. Stavamo spalla a spalla, respingendo quanti più assalti possibile e contrattaccando quando si presentava l’occasione, nella speranza di trovare un varco per poter raggiungere il resto delle nostre truppe al centro del canyon.Poi d’un tratto ci un momento di quiete assoluta, o così almeno parve a me dall’alto della collina, pareva che i nostri nemici si fossero fatti lenti e timorosi ad attaccare ma poi capii quello che stava per succedere; nel centro della mischia sotto di noi il giovane principe Arslan stava fronteggiando il traditore Garland. Certamente il principe era coraggioso e anche abile con la spada ma il suo nemico era un reduce di molte battaglie e, a differenza del giovane, non aveva scrupolo alcuno nell’usare qualunque mezzo per vincrere uno scontro; vidi il nostro sovrano cadere da cavallo sotto i colpi del più esperto guerriero e venire trascinato giù nella calca dei corpi feriti e straziati, lontano dalla mia vista. Solo in quel momento il tempo per me riprese a scorrere al suo ritmo normale e anzi ben presto venni travolto da una tale feroce ira da non poter più rispondere di me, avanzai facendo mi strada tra i nemici, abbattendoli come se fossero stati rami secchi che intralciavano il mio cammino; giunto sulla cresta del canyon guardai in basso e vidi Garland che si faceva largo nella mischia per dare il colpo di grazia al principe, protetto dagli ultimi sopravvissuti della guardia reale, i miei compagni fin dai primi giorni di addestramento.“Garland” gridai sovrastando il fragore della lotta. Alzai la spada al cielo gettando via lo scudo per poter meglio controllare il mio destriero e mi lanciai giù per la ripida collina facendo saltare Vento Nero da uno sperone roccioso ad un altro. “Garland, che tu sia maledetto ci hai traditi!” urlai di nuovo mentre irrompevo tra le fila del suo distaccamento mulinando la spada come fosse stata la furia del vento nella tempesta. Combattevo con disperata ostinazione ed infine raggiunsi il principe; era gravemente ferito, tanto che da principio non mi resi conto di quanto fosse effettivamente critica la sua situazione, e riverso al suolo. Chiamai a raccolta intorno a me i pochi rimasti della guardia reale e insieme approntammo l’estrema difesa; per tre ore senza interruzione alcuna stringemmo il cerchio intorno al nostro sovrano morente, abbattendo i nemici che venivano alla carica e riparandoci dietro un muro di scudi quando erano gli arcieri a tentare di spezzare le nostre difese. Alla fine di quelle tre ore ero l’ultimo rimasto in piedi, quattro frecce erano conficcate nella mia armatura fino a mordere la carne e due grossi squarci erano stati aperti sulla mia gamba destra e al torace; mi reggevo in piedi a stento appoggiandomi allo stendardo del regno di Phartia, ridotto ormai quasi a brandelli, che tenevo alto nella sinistra mentre nella destra brandivo la mia spada, spezzata a metà durante lo scontro con un gigante Lusitano. Davanti a me si era creato il vuoto, i nemici non mi attaccavano più, si limitavano a guardarmi con lo stupore dipinto sul volto o forse volevano solo aspettare che tutto il sangue fluisse da me prima di fare anch’essi la fine dei loro compagni che avevano provato ad attaccarci. Non aspettavo altro che un arciere ben piazzato ponesse termine alla battaglia ma il dardo non arrivò; si fece invece avanti l’artefice di quella giornata, Garland avanzava spada in pugno con passo lento ma senza alcuna incertezza.“Sei stato sconfitto Capitano” disse senza celare un ghigno trionfale “il tuo esercito non esiste più, il tuo re è morto e presto anche tu verrai abbandonato dalla vita”. “Perfino il cielo saluta la vostra sconfitta con un manto plumbeo” continuò indicando l’oscura coltre di nubi che si era raccolta sopra di noi “la battaglia è finita e non c’è dubbio su quale sia il suo esito ma un uomo del tuo valore non merita di morire dissanguato o trafitto da un’anonima freccia, oggi tu hai cancellato una vittoria schiacciante imponendoci di pagare un altro tributo. Perciò tu non morirai se non per mano mia in duello, come dovrebbe morire ogni uomo che si ritenga degno di tal nome; preparati ora”. Non so da dove venissero le energie che raccolsi in quel momento ma in ogni caso non dissi nulla, piantai saldamente al suolo la nostra bandiera e alzai la spada sopra la testa brandendola a due mani. Avrei avuto una sola occasione, mi restavano forze per un solo colpo, un colpo che avrebbe reso meno amaro il calice che mi apprestavo a bere, un colpo che avrebbe reso giustizia ad un regno tradito. Tenevo la spada spezzata alta verso e il cielo e non muovevo muscolo, aspettavo fermo l’assalto del mio nemico. E così accadde, l’inizio di tutto, Garland si lanciò alla carica tenendo la spada bassa sulla sua destra, rasente al terreno sollevando così una sottile striscia di polvere al suo passaggio; gridando al vento le mie ultime parole roteai la lama per calarla sul mio nemico con tutta la rabbia che mi era rimasta e in quel momento avvenne l’impensabile, dalle cupe nubi di tempesta un fulmine si abbatte su di noi e venne imbrigliato dalla mia spada spezzata scaricandosi con tutto il suo vigore nel corpo del traditore. L’impatto che ne segui fu di tale violenza da lanciarmi a terra qualche metro indietro facendomi perdere i sensi per qualche attimo. Quando la nebbia si dissolse di fronte ai miei occhi pensai di essere già morto e di trovarmi in qualche cerchia degli inferi; davanti a me e sopra le schiere nemiche ondeggiava un uomo, io pensavo che fosse un uomo, come sostenuto dal vento; le sue lunghe vesti erano nere come la notte più profonda e sul suo scuro mantello sembrava risplendere un intero firmamento. La figura ammantata abbassò sulle spalle la cappa che gli copriva il volto, girando la testa verso di me e rivolgendomi un sorriso enigmatico, allora capii che non poteva essere un uomo: la sua pelle era color dell’ebano e i lunghi capelli che ricadevano sulle sue spalle erano bianchi come avorio, i suoi occhi cremisi ammiccavano come bracieri accesi nell’oscurità. Poi riportò la sua attenzione sulle schiere Lusitane. “Avete avuto la vostra occasione per uccidere quest’uomo ma avete fallito e ora lui vivrà, diversamente da voi”. Tutto l’esercito lusitano venne scosso da un tremito al suono di quelle parole, solo i più coraggiosi osarono volgere le armi contro di lui scoccando frecce o levando le spade ma i dardi non giunsero mai a segno mentre venivano deflessi da una forza invisibile. Ridendo di gusto l’essere fece un gesto imperioso con la sinistra e un vento, simile solo a quello delle tempeste di sabbia del deserto tanta era la sua furia, gettò al suolo tutte le prime file di soldati; poi l’oscuro personaggio si levò più alto sopra di loro, volse le mani al cielo e poi le puntò verso il basso, come a chiamare la volta celeste a cadere sulla terra, e d’improvviso fulmini e saette colmarono l’aria scaricandosi a terra in mezzo ai soldati urlanti che tentavano di fuggire a una morte tanto orribile correndo verso il deserto. Non trovarono scampo, volando rapido come un falco, il nero li superò e proiettò su di loro innaturali fiamme verdastre, i più fortunati vennero consumati in un solo istante gli altri restarono al suolo contorcendosi, tentando si spegnere il fuoco che li ardeva scavando fino alle ossa. Una simile visione dell’apocalisse fu troppo per il mio spirito già lungamente provato dalla battaglia durante quel giorno, persi i sensi ma in quel labile regno che separa la consapevolezza dall’oblio avrei giurato di vedere quell’essere aprire di fronte a se un turbinante vortice crepitante di statica, come se la materia primigenia del caos si fosse addensata in un unico punto, mi spinse dentro il varco e poi tutto si fece nero. Non saprei dire quanto tempo fosse passato quando sentii l’elfo scuro, ora so cosa fosse, parlarmi; la sua voce conteneva una vibrazione capace di gelarmi il sangue nelle vene. “E così sei sopravvissuto ai tuoi nemici, hai dimostrato grande valore oggi ma dal luogo dal quale provengo io ciò che hai fatto oggi è lavoro per l’ultimo degli apprendisti. Ti porto in un luogo di guerra, dove ogni giorno si conquista la propria vita e la propria libertà con il filo di una spada o la forza della magia. Non temere questo per te non sarà un dilemma, SE avrai la forza di sopravvivere allora tornerò a reclamare il mio credito e tu sarai MIO.”Furono le ultime parole che sentii prima di svenire nuovamente. Quando ripresi i sensi c’era una persona china su di me, ci volle qualche momento per rendermi ben conto di chi fosse; una donna, una donna della stessa razza del mio salvatore e dominatore, eppure neanche per un solo istante lei mi parve simile a quel mago, poteva essere simile di aspetto ma in qualche modo io sapevo che ben altro era il suo cuore. Aveva lunghi capelli corvini che le ricadevano dolcemente sul volto, riuscivo appena a muovermi e ogni angolo del mio corpo era un abisso di dolore ma riuscii ad alzare le testa per poterla meglio osservare. Quando si accorse che ero cosciente si volse verso di me e sorrise, in quell’istante, più di quanto ogni unguento o bendaggio avrebbe mai potuto fare, sentii una nuova vita scorrere in me. Ancor di più, quando sentii la sua voce; il grande peso che le parole del mago oscuro avevano lasciato a gravare sulla mia anima si dissolse e scomparve da me tanto che avrei potuto dimenticarmi di ogni cosa. E la luna vegliava su di noi. Da quel giorno vivo su queste terre, lotto per queste terre ma più importante ancora combatto per lei che ha salvato il mio corpo e la mia anima. Ancora quando guardo le stelle so di camminare sotto un cielo alieno ma quando la Luna è alta nelle notti d’estate e accarezza il suo volto so che posso continuare a sognare. Darioun | ||