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Pensieri a Notte Fonda
Era notte fonda, non so bene che ora. Neppure cercavo di dormire, nella mia camera alla torre. Sentivo l’ombra della Morte su di me. Nessuno a cui potermi rivolgere. Tutti dormivano. Ed io non riuscivo. Era stato un brutto colpo sentire la propria precarietà tutta insieme. Di solito confidavo nella volontà divina, che costantemente vigila sulle sorti delle genti di Alma… ma, quella notte, ero irrequieto. Odiavo la fragilità del mio corpo. Come poteva canalizzare potenti energie magiche ed al contempo spezzarsi per un solo fendente? E se avessi dedicato del tempo anche al mio addestramento fisico? Non sarei divenuto un elfo più completo? Eresia! Un Feziale che medita di abbandonare la via dell’Animo Unico? Tradire gli ideali suoi e dei suoi amici? Omologarsi ad un mondo di mediocri tuttofare, rinunciando alla completa e totale devozione alla magia? Simili pensieri mi sembravano così estranei da farmi seriamente meditare su una possibile influenza di Yethrael sulla mia mente. Il Demone aveva segnato il mio spirito quanto il mio corpo? Mi ero opposto alle sue parole frontalmente soltanto per cadere sotto i colpi di un attacco al fianco? Ma soprattutto… parlarne con qualcuno? Rischiare l’onta e l’infamia dell’abbandono, rischiare il dolore di un’accesa discussione? Dubbi vorticosi nella mia mente, nessuna certezza, buio come la notte calata sulle lande di Alma, la via smarrita come accade a chi si avventura nel bosco d’ombra. Meglio dormire. Come se fosse facile… Uscii. Presi il fido bastone, mormorai l’incantesimo di viaggio astrale, e andai via. Alma Civitas a quell’ora di certo non era silenziosa. Un modo avrei trovato per distrarre la mia mente da tali cupe riflessioni. Mmm… Nessuno. Anche le genti di Alma dormivano, come ignare delle ombre che si allungavano su di loro. Solo i Vampiri e gli Spettri potevano essere in attività… ma di certo non potevano costituire il mio incontro ideale. Dovevo assolutamente tornare a credere nella mia magia. Di nuovo il turbinante Piano Astrale mi inghiottì e mi trasportò sino alla città di Syracusa. Avevo in mente di andare a trovare il mio vecchio amico guardiano del faro, ma… Orrore! L’avevano ucciso. Qualche giovane avventuriero avido di tesori aveva posto termine alla sua vita. Chiusi i suoi occhi, ancora sbarrati per il dolore inflittogli dal colpo mortale. Non c’era pace per me, quella sera? Perché scorgevo solo morte? Era forse un segno o un monito divino? Volevano ricordarmi che soltanto loro sono gli eterni, mentre il mio corpo si piega allo scorrere del tempo? In gioventù avevo consultato molti tomi alla biblioteca della Torre: in essi erano descritti altri mondi, in cui gli elfi avevano il dono di una vita ben più lunga degli altri mortali… alcuni sostenevano che lì la mia razza fosse immortale… Vaneggiavo. Conoscevo i rischi del viaggio dimensionale, ben sapendo che nessuno poteva spostarsi tra i mondi da solo. Nessun mortale possedeva tale potenza. Mmm… Ero ancora molto inquieto. Con un solo pensiero, assunsi le forme di un elfo selvatico, del mitico Signore dei Gatti, mi nascosi tra le ombre, cercando di passare inosservato… non avevo troppa voglia di incontrare qualcuno. Un pensiero, un ricordo, mi attraversò la mente… qualcosa che avevo letto anni addietro in un antico tomo: “Solo chi sacrifica la sua vita alla magia bianca può assumere le forme del Sire dei Gatti. L’arte della metamorfosi è lunga da apprendere, difficile da praticare, dura da sopportare […] Ricorda, giovane mago: soltanto il sacrificio e la totale devozione alla nostra Arte ti renderanno realmente capace di controllare a tuo piacimento le energie e gli elementi. Non credere alle parole di chi si dedica allo studio di più discipline. Nel momento più duro, nel momento in cui i colpi dei tuoi nemici lacereranno le tue carni, ricorderai le mie parole. E potrai scriverle come epitaffio sulla tomba dei nemici uccisi.” Verissimo. I dubbi si placarono per un momento. Poi risalirono, impetuosi: “Avresti realmente bisogno di tali mezzi per sopravvivere una volta addestrato il tuo corpo anche alla via del guerriero?” Ammutolii. Poi, una voce: “Ed alla fine, Linstar, tradisci la tua arte così come facesti anni addietro con il tuo popolo, quegli elfi oscuri che hai rinnegato, ma di cui sfrutti i poteri senza remore?Preferisci allora proteggere il tuo corpo con pesanti corazze, come un guerriero qualunque, che non comprende neppure una minima parte di ciò che tu hai imparato a dominare? Rinunceresti al controllo della tua Arte? Alla sicurezza con cui evochi e pieghi al tuo volere il fulmine, il fuoco, il ghiaccio o l’energia nella sua forma più pura? E tutto questo perché? Solo per l’effimero piacere di impugnare una pesante spada magica, forgiata attraverso l’uso della TUA magia? Il tuo corpo con l’età vacilla, la tua vitalità si spegne e la forza scema… la magia invece accresce la sua potenza con l’età, con l’esperienza. Anche un mago con le tue identiche risorse non può operare potenti magie con la stessa frequenza con cui tu le invochi. Linstar… Allora?” Rimasi in silenzio. Poi… Le mie carni si sciolsero e si riformarono nella figura di un golem d’oro. Mi avvolsi in uno scudo di fiamme crepitanti, stringendo il mio bastone lucente. Sentivo in me il potere, piegai la realtà al mio volere. Una parola e mi si spalancò innanzi un portale magico. Senza indugio entrai e mi ritrovai al cospetto dei membri del Sacro Ordine dei Salii. Mi inchinai. Urlai il nostro motto, di modo che le genti di Alma tutta lo sentissero. Poi tornai ad essere un piccolo elfo oscuro. Più di prima. Finalmente compresi. E sorrisi. Sorrisi a tutti loro. Sorrisi a Linstar. Sorrisi alla voce che mi aveva parlato… sorrisi all’Animo Unico.
EST ANIMUS NOSTER UNUS QUOD [S]ALII SUMUS
Linstar il Drow, Mago Feziale Anno 304 ab A.C. |
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