A m e r i c a
Primo atto: il viaggio e New York City

-prima parte-

Roma. Odiata città amata. Col suo caos, le sue strade asfaltate gremite di gente. Col suo caldo estivo. Caldo che non ti permette di respirare, ma caldo che ormai, da un po' di tempo, è più insopportabile a luglio che ad agosto. Agosto in cui le strade sono finalmente quasi vuote. Dove al supermercato non c'è la solita fila, ma neanche la solita varietà di scelta. Agosto a Roma. Bello e inquietante. Bello per quel po' di silenzio che ti permette di goderti la città eterna. Inquietante per la desolazione che a volte ti fa sentire solo, solo come raramente Roma riesce a farti sentire. Ma oggi basta. Oggi Roma sarà solo un punto su una carta geografica. Oggi si parte. Verso il sogno. Verso la meta agognata, verso l'America.

Non c'è molto tempo per pensare, il caldo d'altra parte ci offusca i pensieri. E' il 18 agosto, e noi siamo oggi in una terra di nessuno. Nel passaggio da un mondo all'altro. Perplessità di un viaggio verso l'ignotoMa non c'è molto tempo per i convenevoli. Ora ci attendono le dolci brezze del viaggio verso il nuovo continente. I nostri sguardi già si perdono tra il finestrino e paesaggi immaginari, che abbiamo visto solo nei nostri pensieri. Il viaggio è lungo e ci sfinisce, nonostante l'areo voli veloce. Ma per uno strano fatto, per motivi a noi sconosciuti (o quasi), ci viene in realtà detto che il nostro lungo, lunghissimo viaggio è durato, visto da chi ci ha osservato dall'esterno, solo pochissime ore. Ma il tempo è tiranno, e quella stessa vocina che ci ha sussurrato queste cose, ci spiega anche che il tempo che abbiamo cercato di rubare ora all'andata, ci verrà nuovamente strappato via nel ritorno. In modo che il tempo, sovrano inflessibile, possa regnare senza inconvenienti su tutto il mondo. Questo vocina che ci continua a sussurrare cose strane, che si aggiunge ai nostri timori e paure, inevitabili per chi affronta l'ignoto, ci mette a disagio. Disagio dei nostri pensieri. Perchè forse la terra promessa non è come ce lo aspettiamo. Forse è meglio dei nostri sogni, ma forse è anche peggio. Forse ne rimarremo delusi. Forse l'Eden scaccerà noi, figli illeggitimi, come scacciò i suoi primi abitanti. E la delusione sarà maggiore per noi, che ci aspettiamo di essere accolti a braccia aperte. Un mio amico diceva che "Tanto maggiore è l'attesa per ciò che deve succedere, quanto maggiore è la delusione quando ciò che accade è, inevitabilmente, diverso da ciò che ci aspettiamo". Queste le nostre paure, questi i nostri sguardi.

Ma ancora una volta il tempo ci strappa ai nostri pensieri. Le vie di Harlem Per nostra disgrazia, ma forse anche per nostra fortuna. E oggi è già domani. E domani siamo immersi nella Grande Mela. La città dai mille contrasti e dai mille odori. E' domenica mattina. E come ogni domenica mattina è tempo di mercatini e si fa shopping a New York. Anche noi ci siamo adeguati alla nostra nuova, temporanea, casa e ci siamo uniti al fiume consumistico. Ma noi non siamo andati a fare spesa a Broadway o a Downtown. No, noi siamo andati ad Harlem. Il quartiere dei neri newyorkesi.

Noi siamo nuovi di New York, e non ci riteniamo così esperti dell'isola di Manhattan da stilare classifiche, graduatorie o fare confronti. Eppure non serve un genio per capire che questo quartiere è diverso dal centro della città. Qui niente grattacieli. Qui niente Bulgari o Valentino. Le case sono basse, la maggior parte in cortina. E' raro incontrare un bianco, ed abbiamo il sospetto che questa rarità è data dal fatto che oggi è domenica, e si è tutti un po' più buoni, e che nel resto della settimana bianchi qua non ce ne siano. Però non ci sentiamo addosso sguardi ostili, per lo meno non quando siamo nelle grosse strade commerciali. Harlem, con in fondo i grattacieliCerto, nei vicoli laterali l'atmosfera è diversa... ma che pretendete? Nessuno ha piacere che un estraneo entri in casa propria. Perchè questa è per i neri di New York il quartiere di Harlem: casa loro. Un posto nel quale possano ritrovare se stessi in un mondo al quale si sono dovuti adattare per sopravvivere. Eppure non sembrerebbe, se non fosse per la gente che si incontra girando, di trovarsi al di fuori della Grande Mela. In fondo le auto sono sempre le stesse. Gli autobus sono sempre gli stessi. I negozi, i vestiti e gli oggetti in vendita sono sempre, più o meno, gli stessi. I neri di New York ci sono apparsi, ai nostri occhi semplici e, forse, non troppo attenti, una comunità viva e attiva dentro la città. Non ci sono sembrati abitanti di una città qualsiasi, ma abitanti di New York. Veri abitanti di New York, seppur con le loro abitudini ed i loro ritmi. Ed i loro ritmi sono in ogni caso, nel bene e nel male, armonizzati col resto della città, il che li rende inequivocabilmente newyorkesi.

Questa stessa cosa invece non possiamo dirla per un'altra delle grosse comunità che vivono a New York: i cinesi. Chinatown è molto distante, non solo spazialmente (Harlem si trova a nord di Manhattan, Chinatown al sud),I vecchi cinesi giocano a domino nel cuore della grande mela ma anche culturalmente e socialmente dal quartiere dei neri. Se gli abitanti di Harlem erano, come noi li abbiamo descritti, "dei neri di New York", gli abitanti di Chinatown sono, al contrario, "dei cinesi a New York". Mentre la gente di Harlem ha recepito lingua, cultura, abitudini e stile di vita della grande mela, i cinesi conservano rigidamente la propria identità, trasformando lo spazio a loro disposizione in un luogo il più possibile simile ad un quartiere di una qualsiasi città cinese. Oltre a ciò conservano usi, tradizioni, lingua e costumi propri. Non per niente, una volta addentratici in un parchetto nel cuore di Chinatown, abbiamo trovato un gruppo numerosissimo di cinesi intenti a giocare a domino e altri giochi tipicamente cinesi, e noi non abbiamo destato nei loro confronti, al contrario dei neri di Harlem, il benchè minimo interesse o curiosità.

Però New York è New York per altre cose. Lo è per i grattacieli, per il central park, per le sue luci ed i suoi colori. E questa è alla fine la Rapiti da un fiume di gente, taxi e grattacieliIl laghetto dentro Central Park città che ci ha richiamato. La città che ci ha anche rapito e cambiato. La città che faticheremo a dimenticare, vuoi per i suoi mille odori (la maggior parte sgradevoli a dir la verità), vuoi per le sue mille contraddizioni, vuoi per la sua immensità e per quel pizzico di follia che la contraddistingue.

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